Birillo scrive ad Alessandra
Ciao mamma, sono il tuo Birillo. Oggi ti racconterò qualcosa di me che ancora non sai. Però, ti prego, non piangere e pensa solo alla nostra felicità.
Era il 1998, me ne stavo con il mio fratellino gemello nelle campagne di Tivoli. Allora pensavo che la felicità fosse quella: cielo, prato, libertà. E una mamma che andava e veniva e ci accudiva come poteva. Una vita un po’ da zingari, ma io e il mio fratellino eravamo felici e avremmo voluto rimanere in libertà per tutta la nostra vita.
Invece, in quella zona (a Tivoli la chiamano la zona Pomata), troppa gente veniva a fare footing. Troppa gente aveva il suo orto e la sua campagna. Due cuccioloni come noi potevano dare fastidio. E così un brutto giorno un furgone dell’accalappiacani venne a prenderci. Noi scappammo e tentammo di entrare in un recinto. Purtroppo non fummo abbastanza veloci e ci trovarono sotto la rete di recinzione, mentre cercavamo di entrare. Avevamo circa 6 mesi quel giorno. E fummo catturati e portati nel canile di Tivoli. Li rimanemmo per quasi un anno. Poi purtroppo, il canile di Tivoli dovette chiudere e così tutti noi cani rinchiusi lì venimmo spostati ed io ed il mio fratellino fummo separati: io andai in un rifugio gestito da una associazione (Mondo Cane, si chiamava). Il mio fratellino (era davvero identico a me, povera stella) venne spostato nel canile di San Gregorio e da allora non l’ho mai più rivisto.
Nel rifugio dell’Associazione Mondo Cane rimasi per un po’ di tempo, fino a quando la nostra volontaria (la mia amica, Rosaria, che mi conosce da quando entrai nel canile di Tivoli per la prima volta) capì che in quella struttura qualcosa non quadrava e così chiese al Comune di Tivoli il nostro trasferimento (eravamo una bella banda, tutti cani giovani catturati nelle campagne di Tivoli) e il Comune organizzò i furgoni e ci portò tutti a Roma, nel canile privato romano convenzionato con il Comune di Tivoli sulla via Ostiense.
Lì non ce la cavammo malaccio: il settore Tivoli era ampio, i recinti spaziosi, e poi Rosaria veniva tutte le settimane e noi siamo cresciuti praticamente con lei. Ci controllava attentamente perché, ci diceva, c’era qualcosa che non andava nel resto del canile: troppi cani, poco cibo, poche attenzioni.
Ed infatti, un bel giorno (19 gennaio 2002),qualcosa accadde: tutte le porte del canile si aprirono, gli operai rumeni vennero cacciati, il gestore pure, ed entrarono una valanga di volontari che cominciarono ad accudirci, pulirci, alimentarci (finalmente che bontà quella nuova pappa!), curarci insieme ai veterinari della ASL RMC: la vita piano piano cambiò. Nel nostro settore arrivò Elvira che ci faceva uscire tutti insieme, tutti liberi, all’interno del settore visto che chiudendo una porta l’intero quadrilatero si isolava dal resto del mondo e noi non potevamo allontanarci più di tanto. E gli anni passarono. I volontari erano carini, i lavoratori dell’Associazione (Associazione Volontari Canile di Porta Portese si chiama, ricorda!) amorevoli. Io me la cavavo bene (vedi la mia foto? E’ del 2004, quando i volontari fecero una grande battaglia per impedire il nostro dissequestro e un nuovo nostro trasferimento chissà dove). Io non lo sapevo ma le cose erano destinate a cambiare ancora. Nel 2007, i volontari ci presero tutti e ci spostarono nuovamente: questa volta un parco canile, sulle rive del fiume Tevere. Che bel posto, mamma! Finalmente alberi, recinti spaziosi, belle passeggiate, un grande recinto verde per i giochi. Che meraviglia! Pensavo che dopo 4 canili la mia vita terminasse così e tutto sommato ero contento. Ma invece sei arrivata tu, mamma, ed io ora conosco la felicità: il 16 gennaio del 2010 tu hai aperto per sempre le porte del mio canile. E la mia vita è cominciata allora. Ti voglio bene, mamma, però non piangere, sai? tuo Birillo
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